mail del 31.12.10
Ho come la sensazione che stiate usando una sorta di protocollo di indagine, che le dinamiche di relazione siano gestite attraverso situazioni stimolo e che voi registriate i modi e tempi delle mie reazioni, le mie “salivazioni” ai rinforzi (tramite l’esplorazione di varie dimensioni quali: autocompiacimento, pigrizia, autocensura, rapporto con l’autorità, gestione degli stereotipi, coerenza, sfiducia fiducia verso l’altro, oppositività, ipocrisia, relazione con il territorio; nella migliore delle ipotesi, questo per studiare le ragioni dell’eufemistico “esilio”) così piuttosto che un insetto infilzato, o un inanellato animale in estinzione mio sento una cavia, una cavia in un esperimento. E le altre? Che dicono?
Ho come la sensazione che stiate usando una sorta di protocollo di indagine, che le dinamiche di relazione siano gestite attraverso situazioni stimolo e che voi registriate i modi e tempi delle mie reazioni, le mie “salivazioni” ai rinforzi (tramite l’esplorazione di varie dimensioni quali: autocompiacimento, pigrizia, autocensura, rapporto con l’autorità, gestione degli stereotipi, coerenza, sfiducia fiducia verso l’altro, oppositività, ipocrisia, relazione con il territorio; nella migliore delle ipotesi, questo per studiare le ragioni dell’eufemistico “esilio”) così piuttosto che un insetto infilzato, o un inanellato animale in estinzione mio sento una cavia, una cavia in un esperimento. E le altre? Che dicono?
L’idea di ricostruire la documentazione tramite telefonate al cellulare corrisponde al paradigma del pagare per farsi ascoltare (per esistere). Successivamente ho pensato che la richiesta di tali documenti fosse solo uno stimolo del protocollo summenzionato, è difficile per me non essere sostenuto da un pensiero con andamento paranoico. In ogni caso subito dopo l’idea d’uso del cellulare è intervenuta una modalità fisica / gravitazionale di sottrazione: inavvertitamente l’ho fatto cadere mentre uscivo dall’auto. Con il ripristino è sopraggiunta la raucedine e la febbre.
In Estate è stato relativamente semplice radunare un po’di cose e farne un nuovo lavoro ( la documentazione è sempre un ulteriore e nuovo lavoro in un processo metarealizzativo) : mi giustifico con Alessandra (se realmente le occorre la documentazione cartacea- sovrappongo interventi e informazioni avuti in conversazioni differenti e che retoricamente conservo) infatti con la scuola ( si sa che lavoro alla scuola elementare dove abbiamo avviato un laboratorio d’arte cooperativa) i tempi si alterano, non ricordo poi con precisione che cosa vi abbia inviato: devo dunque trovare un’ulteriore modalità di ricostruzione - i tempi sono stretti- il senso di colpa qualora non riesca a trovare una soluzione è e sarà da gestire. Tramite cellulare, appunto pagando, ho ipotizzato una ricostruzione del nostro incontro :come una ricostruzione di performance che in parte già avete ascoltato e che già è materiale d’indagine Proverò a scriverla (a farne una relazione)
Scrivo altro
Penso che non verrò a Roma in Marzo (errare umanum est….)
Certo per chi vive credo la condizione d’esilio, anche come dato “ eroico”, perché in parte non può non essere sentito come un privilegio star fuori, per paradosso come condizione di differenza, illusoriamente scelta, l’essere “inserito in una collezione” o meglio entrare o entrare in relazione in o con un contesto che può a suo modo essere d’omologazione spaventa ; ancor più pone in una condizione d’indagine e sospetto- critica- che sia il lavoro di un altro, la struttura tassonomica di “contenzione”, il museo in esilio; c’è un ideologo che non è così decentrato almeno quanto a potere comunicativo. Parlo ora anche animato da invidia soprattutto da invidia (per chi sembra avere una condizione di centralità, condizione di centralità alla quale mi sembra aspiriamo come ritorno a quella vissuta e non scelta nel corpo della donna, della madre) . Se il museo è un’opera mi rivolgo provocatoriamente anche al curatore dell’opera nell’accezione di curatore che è quella medica, psichiatrica, rinvio alla vocazione analitica nonostante sappia, almeno così mi hanno detto Alessandra, Davide,e Mattia che qui Cesare si conserva e privilegia nel ruolo dell’artista e dunque anche in quello del curato come paziente e anche con una possibilità di lettura iperbolica, tutta italiana e non molto etimologica, del curato/ sacerdote, come curatore d’anime in relazione ad un territorio seppure qui sia quello dell’esilio ; ruoli nei quali maniacalmente provo a ritrovarmi e che si traducono in quelli del paziente/penitente: pagare per esistere. Sento l’obiezione sull’urgenza di decomposizione dei ruoli, sono in effetti questi solo uno strumento euristico molto grossolano, sassi nello stagno, per provare a capire: comunque l’idea del museo in esilio è vostra -i nomi spesso- direi i titoli- sono la realtà delle cose- delle opere - io provo a interagirci - ve ne sono debitore. Cave caviam
Cellulare.
L’uso del cellulare delinea una brutalizzazione del paradigma analitico, una sterminata diffusione del medesimo, l’ attenzione dell’altro deve essere comprata, questo accomuna analisi e cellulare: pagare per essere ascoltati, attendere per essere ascoltati, aspirare all’ascolto.La telefonata ultima ha avuto come costo 152 euro ( c’è stata una sanzione- ma in effetti seduti in auto l’illusione analitica è ancora più forte e adeguato il compenso per la seduta).
Ricostruzione ( alla quale penso anche voi avrete atteso come relazione o rapporto o meglio come stesura di tali relati in un processo che trasforma forse le persone, i rapporti su di loro in opera)
Le farfalle mi vengono sulle spalle, si posano sul mio corpo, una precisamente in mezzo alla fronte a dividerla ( siamo al macro nell’opera che le mostra viventi) forse mi hanno riconosciuto a loro compagno, mi vogliono segnalare che con loro condivido il destino d’ostensione, in vitro, con l’nevitabile esito metaforico dello spillo che trafiggerà la testa al centro, il pensiero; una li si posa per comunicare, sul terzo occhio, per entrare in relazione, un contatto, un monito, con un potenziale narrativo maniacalmente agiografico.
L’ignoranza di se, del contesto rende prede, ma che cosa è la consapevolezza.? Il tutto ascrivibile alla variabile tempo e sacche circoscritte. A bolle impermanenti di sapone
Non umiliatimi con complimenti - la bellezza e la fragilità di queste creature è causa della loro rovina- questi svelano la mia ignoranza
Cesare come Cesare e Pietro giusto arriva e riparte libero almeno in apparenza
Errare, viaggiare attraverso errori , come sempre o spesso mi è accaduto, in-utilmente viaggiare per trovare centri di comunicazione come quando sono fuggito per un anno ad Alessandria d’Egitto dove- vi racconto mentre più volte sbaglio a chiamare il taxi e molti se ne fermano senza esito- ho insegnato e con l’etichetta di artista esposto abusivamente due crani di maiale al museo archeologico, anni or sono. Mi chiedete del sant’Antonio che ho al collo (medaglietta del Cottolengo, trovata appunto ad Alessandria in quel museo) e viene fuori la confusione fra i due, il da Padova e l’Abate quest’ ultimo figura pagana accompagnata da un maiale. Nel pomeriggio tardo troviamo a Torpignattara una locandina in cui si invita la cittadinanza a partecipare alla benedizione degli animali in occasione di Sant’ Antonio abate che qui è raffigurato e presiede alla protezione di animali domestici e non, in cattività. Voglio andare al bio parco,( lo sostengo dalla mattina) voglio condurmi alla benedizione come animale in cattività. (L’interpretazione dei sogni di Freud credo apra alla dimensione ermeneutica interpretativa anche della realtà di cui io sono assolutamente vittima, la mia capacità di ascolto è azzerata)
Alle tredici costretti ad accudire il corpo
Nello studio bianco mi precipito nel bagno, nella vasca, per essere ascoltato, nella vasca dell’analista sono pronto a pagare, cesso d’esistere è una performance a favore di Betti, Alessandra, Mattia, Davide,del fantasma di Cesare ma anche della moglie ( evocati dallo studio) della quale ho chiesto di vedere delle foto: mi dite infatti che si è laureata a Pisa in filosofia è del 62 io del 64, così voglio vedere se l’ho incontrata in dipartimento; evoco Carla Lonzi sono invidioso delle donne, e di chi ha davvero un forte potere comunicativo. Comunque nella vasca / sarcofago/ avello/letto analitico mi stendo evoco Marat, ma soprattutto vasca fontana, simbolo del nostro benessere occidentale : una fontana domiciliare privata,con acqua potabile in cui noi facciamo il bagno ( penso all’ Africa…. ai territori di guerra…..) un lusso assoluto come la nostra conversazione : dove mantenere in vita il corpo è un problema , il corpo, la sua vita non sono sentiti come ostacoli ma come mete, successi. Ora nella fontana letto, trionfo d’opulenza ( è interessante lo scarto territoriale geografico) mi stendo è pago la curatrice ( Alessandra, lei per tutti) per essere ascoltato ( avete la foto) con una moneta: sono anche queste le monete che si lanciano nelle fontane qui a Roma, l’operazione è ribaltata ( in “fontana capitale” qui a Roma come un lavavetri agli incroci- trivi- fermavo le auto pulivo loro il vetro e consegnavo all’ automobilista cento lire) vi pago? per dirvi che ora a quasi cinquant’anni preferisco non viaggiare perché il viaggio mi toglie dall’abitubine e mi fa sentire ancora più pesante il corpo, la sua gestione che nell’ abitudine si fa dimenticare, lasciando spazio all’illusione della liberta del pensiero, della sua autonomia in una castrante accezione dicotomica…. Curatemi , ascoltatemi ( farsi ascoltare è un lusso : alcuni pagano con la progressiva autosottrazione al corpo il bisogno d’essere ascoltati)
Come paziente dico ancora- e se sono un paziente è chiaro che pago- ( forse fate riprese che gratificano quanto di me appartiene alla società dello spettacolo ma come esito di una lunga catena generazionale di contadini mi fanno inorridire):
“La schiavitù del corpo, a questo corpo/ fisico- non sento infatti d’averlo scelto- obbligati a nutrilo/nutrirsi, lavarsi, dormire, urinare, morire..pensare”, “sempre e solo due braccia, due occhi” … insieme alla non scelta del corpo sociale d’appartenenza, della realtà geografica e storica di nascita, dei genitori, questo senso d’obbligo, di non scelta anche nei pensieri ha trovato per me nel fare dell’arte la maschera della fuga, dell’autonomia del gesto- a recuperare il corpo, ( resta un disagio profondo, verso il corpo, il corpus e tutto cio’ a cui si appare obbligati , a sostenere questo bisogno di arte come simulacro di scelta,di disancoraggio dal dato) tuttavia ora l’esperienza della centralità nel corpo della madre, oltre l’ esigenza della donna che pure può sentirsi invasa ci porta imprintati su tale paradigma a ricercare ancora centralità, attenzione (sia pur lesiva), in altri contesti d’accoglienza/rifiuto/ invasione. C’è un fare schismogenetico che sorregge un equilibrio che io ora sento con forza sbilanciato (aggiungo ora per l’analista lettore un’ urgenza di nudità oscena da vasca privata di privato ): il rifiuto del corpo/corpus, non scelto che apriva al teatro dell’arte, questo mio pesante senso di inadeguatezza al vivere come necessità, mi appare ora come una possibile dolorosa lettura della mia esperienza di protopaternità. Per questo ora sento del tutto necessaria, obbligata e quindi inutile, insensata la pratica dell’arte. Ho più volte pensato che questo feto ( non si riesce poi a non vederlo bambino/a anche se “della notte”) abbia portato alle estreme conseguenze il viatico del padre( è chiara l’invidia per la madre) il mio, e abbia deciso di rifiutare il corpo, con una scelta estrema di centralità, precocissima, decidendo di interrompere il proprio sviluppo, inibendo la costruzione del cuore. Ho sempre pensato al valore dirompente delle metafore, più e più volte gestite, al valore direi sacro della metafora, “non vorrei farne uso ma non riesco a sottrarmene” anche quando ne ho inscenata la fuga: “questo è solo questo e non devo caricarlo d’altro senso”. Alla settima settimana si scopre l’infezione da citomegalo virus, inizia un percorso di dilatazione dell’esperianza perchè dall’ospedale Gaslini il responso sulle varie modalità nel tempo di infezione, prima dopo o durante il concepimento, altererebbero i termini degli effetti teratogeni.. A Genova veniamo informati della sperimentazione di un farmaco alla quale potremmo partecipare, è presente un gruppo di controllo a cui viene somministrato un placebo. Ci rifiutiamo e le risposte alle analisi che dovrebbero essere quasi immediate si allontanano, al telefono rinviano, ho l’impressione di far comunque in altro modo parte dell’esperimento mirato forse alle dinamiche psicologiche. Dopo cinque settimane, sollecitati, arriva il responso via telefono : l’avidità degli anticorpi è alta quindi la probabilità di infezione del feto è remota. Questo proto figlio si porta dietro due delle mie più radicate angosce, direi strutturanti: quella della contaminazione, ed il pensiero paranoico di un indagine , che rende, oggetti che rende cose. La telefonata fatta all’incirca, all’una del pomeriggio, è una sorta di sollievo, mi sento “il solito esagerato”, alle tre dello stesso giorno all’ecografia di controllo in ospedale a Livorno ci dicono che la gravidanza è si interrotta alla settima settimana (il cuore non si è sviluppato) abbiamo fatto un percorso di indagine che è partito quando era inutile partisse, speranze ansie, paure quando /metafora/ si era già sottratto/a,… come? Mi illudo: portando il mio strutturante disagio per la vita alle conseguenze più chiare, migliorandomi. Cessando d’esistere.
(che orrore la società dell’opulenza)
Poi Betti ed io cominciamo una ricostruzione d’ausilio ( si è parlato della rappresentazione come precipitato …) ricordiamo che in albergo a Genova avevamo sentito di una megattera, una balena gravida che girava intorno alle acque del porto, forse allora questo/a proteo figlia/o è passato/a nella balena che era li per traghettarla in se, in un corpo alleviato grazie all’acqua dalla gravità. Perché poi una balena e non un tarlo della farina o della lana: non ce la facciamo, non ce la faccio proprio a sopportare la gravità, la pesantezza che sento
E le performance a Roma in Marzo? Varie ne penso e le scarto, ma le elenco:
io nella vasca, racconto, consegno una monetina, ( fare mimetico) destinata solo ad alcuni dei presenti . E gli altri? (Varie soluzioni)
Oppure fasciato, invisibile come un burattinaio buranku che animo, una cavia parlante che paga per farsi ascoltare per esistere
(altra possibilità) Squilla un cellulare nella vasca , qualcuno lo raccoglie e risponde ( si muta in virtuale analista curatore: sono io a pagare -a chiamare), spero ( a quello che entra) racconto al capo opposto due fiabe?(brevissime su valore e disvalore del corpo -che allego ) e lo invito, lo prego di ripetere l’operazione, che le racconti per telefono ad altri ma gli ricordo che dovrà spendere e che forse è il caso che non lo faccia.
Mi annoiano ma potrei attivare una serie di teorie
La gravità torna come argomento della serata a cena. La compagna di Davide ci parla di buchi neri, li studia , vengono fuori i modelli matematici con cui altri corpi precipiterebbero attratti schiacciati dall’eccesso di gravità del buco.E’ di nuovo un modello metaforico: la gravità, la forza del progetto quali prospettive d’esistenza lascia a chi ci si avvicina o meglio quali possono essere i modelli personali, con cui spiegare l’assorbimento – la scomparsa- nel progetto? Penso alla sua forza comunicativa:. ai processi relazionali d’inclusione, d’assorbimento, la sperequazione di forza é smisurata, il potere comunicativo imperequabile: cesso d’esistere.
Ps (con andamento maniacale confuso) Nello studio avete una serie di opere appoggiate alla parete, vicino alla cucina,su una, sopra il contenitore c’è scritto : non è un’ opera d’arte è solo uno specchio” così in questo studio pieno di documenti, cataloghi, catalogazioni e catalogati, immagino scritto per me: “ Non è un artista è solo una persona”
(che usa, fra le altre, modalità definibili e inseribili nell’estensibile/ da estendere, categoria dell’arte come percorsi di contatto/conoscenza/ ricerca/scelta?/ politica/comprensione/contatto/ estensione/ ridefinizione (etica est etica) e allargamento per la pratica e l’accoglienza delle differenze …….. ………………………………………………………………………………………………………………gioco: e se venissi a Roma a mettere in disordine i cataloghi, i ilbri e vi pagassi per fare appunto un po’di disordine ? Che ne dite? ……Già lo avete previsto……(metaforicamente)… è gia successo ……..
Risposta di Cesare alla mail del 31.12.10 di Giuliano:
Caro giuliano, ti ringrazio del tuo testo - ho finalmente, in questo
sabato a Boston dedicato soltanto alla lettura e alle risposte
elettroniche, trovato il tempo per leggerlo.
mi piace il dispositivo a cui ti riferisci spesso, di
pagare-per-farsi-ascoltare; inserisce, nel discorso dell'artista, un
meccanismo contro-intuitivo per cui, mentre pensavo di ringraziarti
per quello che avevi scritto, pensavo anche a te che mi pagavi per
averlo letto... e già durante la lettura questa strana sensazione di
un ricevente pagato tornava continuamente, non però come quella che
credo viva regolarmente l'analista, ma come una specie di
cortocircuito sul valore (sottolineato valore) del significato di ciò
che si sta leggendo.
capisco benissimo il disagio di sentirsi una cavia, e anche il timore
di essere posto in qualche meccanismo di attenzione "pubblica" non
necessariamente desiderato. penso però che non dovremmo avere paura di
venire usati dagli altri, poiché ciascuno di noi può tanto venire
usato che usare gli altri. e non c'è proprio niente di male. anzi, io
dico sempre che fra umani ci dovremmo usare di più. mi piacerebbe - ma
veramente, per essere onesto dovrei togliere il condizionale, perché
mi sta già piacendo - trovare un modo in cui noi - esteso ovviamente
ad alessandra, davide mattia - ci usiamo. leggendoci, ascoltandoci,
scambiando valore e senso.
non vorrei che tu sentissi alcun obbligo rispetto all'idea di fare una
performance a roma nel mio studio. la proposta era, da parte nostra,
uno strumento di conoscenza reciproca. e come tale sta funzionando
comunque. dico bene?
ti saluto affettuosamente da boston, dove sono in residenza in un
c.
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