“Si può mettere in discussione la differenza, all’interno di un museo, fra spazio espositivo e spazio di servizio; si può pensare a un museo il cui spazio di azione sia decentrato, multiplo, mutevole; si può pensare a un museo che sia ‘specchio’ di eventi che accadono altrove, anche molto lontano; infine si può pensare al museo come luogo di incontro reale, di scambio di idee e di esperienze, anche a un livello conviviale, fra gli artisti, altri addetti ai lavori e il pubblico.”
[Cesare Pietroiusti, in Oreste at the Venice Biennale, 2000]
Esiliati dal sistema, esuli in terra straniera.
In un primo momento si era pensato che il Museo avrebbe dovuto avere la sua sede fisica in un paese straniero - magari l’Albania o la Romania - ed essere ospitato o appoggiato logisticamente da un’altra istituzione. Il pensiero era andato all’Est europeo in considerazione del flusso molto alto di esiliati in Italia, con anche il desiderio di restituire qualcosa a quelle popolazioni che forniscono al nostro paese forza-lavoro e risorse. Valutando però le difficoltà e l’entità delle risorse necessarie a mantenere una sede fissa del Museo, si sta ora considerando di configurarlo come un’istituzione itinerante che potrebbe essere ospitata da diverse altre istituzioni museali, organizzazioni, associazioni, ecc.
Il Museo sarà curato da un piccolo comitato scientifico diretto da Pietroiusti e composto da almeno tre persone - artisti e curatori - che si riunisce – anche attraverso mezzi telematici - almeno due volte l’anno. Un direttore tecnico-amministrativo, una persona con mansioni di segreteria e ufficio-stampa, nonché alcuni custodi, andrebbero presumibilmente reperiti all’interno della struttura ospitante.
Per quanto riguarda il ruolo che il Museo dell’Arte Italiana Contemporanea in Esilio dovrebbe assumere rispetto a un museo tradizionale, trattandosi del progetto di un artista, verrà ad assumere caratteristiche flessibili, che mutano nel tempo, che hanno la possibilità di adeguarsi a quelle che saranno le circostanze del momento. “Io posso costruire un museo e lo posso realizzare anche come un museo vero e proprio, col suo staff, il suo direttore e tutte le sue regole – osserva Pietroiusti - ma anche per il solo fatto che sia stato un artista a farlo è come se non fosse un museo ‘normale’. Non è importante l’istituzione museo in sé, quanto l’idea critica che ci sta dietro”.
Il tipo di valorizzazione che il Museo in Esilio andrà a mettere in atto sarà quindi caratterizzata da un lato dall’aspetto statutario e disciplinare di “museo”, dall’altro si potrà muovere trasversalmente e con agilità dentro e fuori dai margini dei circuiti ufficiali dell’arte contemporanea.
Per ora.
[Davide Ricco]
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