Museo dell'Arte Contemporanea Italiana in Esilio

MUSEO DELL'ARTE CONTEMPORANEA ITALIANA IN ESILIO

Il progetto ideato da Cesare Pietroiusti, in collaborazione con Alessandra Meo, Mattia Pellegrini e Davide Ricco, intende raccogliere su tutto il territorio italiano opere realizzate da personalità singole o collettive che svolgono attività creative sorprendenti, eterodosse, fuori dai circuiti della comunicazione mediatica.
Il Museo non avrà una sede fisica fissa: concepito come entità nomade sarà esiliato presso istituzioni museali e associazioni culturali estere.

giovedì 27 ottobre 2011

Trento - fine estate 2010



Il 15 e 16 settembre 2010 il progetto viene presentato in un workshop presso la Fondazione Galleria Civica di Trento. Vi partecipano, oltre a una ventina di studenti, Daniela Rosi (studiosa e coordinatrice dell’Osservatorio sull’Outsider Art dell’Accademia di Belle Arti di Verona), Roberto Pinto (ricercatore di Storia dell’Arte contemporanea all’Università di Trento) e l’artista Anna Scalfi.
Nel dibattito che nella prima giornata di lavori è seguito alla presentazione dell’idea e dei materiali documentari raccolti sono sorte interessanti riflessioni oltre a vecchi e nuovi interrogativi.
Sono emersi innanzitutto dei filoni, delle tipologie di risultati che si ripetono: azioni di tipo performativo legate a situazioni di profondo disagio psichico o sociale, comportamenti compulsivi che conducono il soggetto segnalato alla raccolta (collezione) metodica e maniacale di oggetti o alla realizzazione di manufatti a partire da materiali di scarto o reperiti in natura, distacco dalle dinamiche sociali e culturali di massa che presenta particolari attinenze con un ambito parapolitico o parareligioso.

Si è passati poi a parlare dei criteri di selezione delle opere segnalate, in vista delle eventuali acquisizioni. Sarebbe riduttivo scegliere l’opera in base alla personalità più o meno eccentrica dell’artista, l’obiettivo non è prettamente quello di indagare le dinamiche psico-sociali dei personaggi in questione: l’attenzione va focalizzata anche sul linguaggio. Non è nemmeno una questione di originalità del mezzo espressivo, non sono affatto bandite la pittura o la scultura in quanto medium tradizionali inquadrati nel “ritorno all’ordine”. Esiste tutto un territorio non indagato abbastanza dalla critica e dalla storiografia ufficiali, non necessariamente un territorio oltre confine, ma un luogo nomade che si muove intorno al margine, al limes del sistema. Nelle pieghe di questa zona è possibile individuare quelle che per un particolare anche minuto rappresentano vere e proprie novità nel panorama artistico italiano, capaci di portare nuova linfa ed energia ad un mondo dove tutto e il contrario di tutto sembra essere già stato detto e fatto.

L’intervento di Daniela Rosi, nel secondo giorno di workshop ha concentrato l’attenzione dei partecipanti sull’Outsider Art.
Dopo aver presentato i lavori di una serie di pazienti in cura presso le cliniche psichiatriche del Triveneto con l’ausilio di immagini e cataloghi (anche qui le opere si possono classificare in una serie di categorie comuni, legate al tipo di disagio di cui è affetto il paziente), ha posto l’accento sulla differenza tra gli artisti “impulsivi”, per i quali l’espressione artistica rappresenta la manifestazione o lo sfogo del disturbo psichico, e chi frequenta laboratori e atelier di art-terapy.
Tra i primi i mezzi utilizzati, i supporti e i contenuti sono risultati particolarmente interessanti sia per quanto riguarda la qualità delle opere che per quanto concerne il livello di innovazione che queste sono in grado di apportare al panorama artistico attuale.
Nella sua ricerca Daniela Rosi non è interessata alla seconda categoria menzionata, ma dal materiale segnalato è parso evidente che alcune produzioni dei laboratori a conduzione sono di grande interesse qualitativo e contenutistico.

Al termine del dibattito è stata effettuata una prova di allestimento delle prime opere acquisite dal Museo dell’Arte Contemporanea Italiana in Esilio presso lo spazio indepositoi, ideato e diretto a Trento da Anna Scalfi e Denis Isaia. I lavori erano un gruppo di collage e disegni di Fausto Delle Chiaie, una serie di piccoli manoscritti e oggetti utilizzati nelle performance da Giuliano Nannipieri e due tappeti in carta e stracci di Andrea Lanini.
Gli studenti che hanno partecipato al laboratorio hanno cercato di attenersi a quello che è il contesto che ha originato le opere da esporre o all’intenzione poetica degli artisti.
Non è stato difficile riprodurre, in un corridoio che da’ accesso allo spazio, il Museo all’Aperto che Delle Chiaie allestisce ogni giorno - salvo pioggia - nello spiazzo antistante l’Ara Pacis a Roma.
Diversi problemi si sono riscontrati invece con le opere di Nannipieri e Lanini.
Le prime, minuscoli “pizzini” su cui l’artista-filosofo livornese ha descritto alcune azioni performative mai compiute - la documentazione, secondo Giuliano, è un’opera a sé stante - sparivano letteralmente nel grande vuoto del capannone. Le proposte dei partecipanti sono state quella di riprodurre i testi dell’artista e quella di utilizzare gli ingrandimenti fotografici - proiettati o stampati - dei foglietti volanti. In entrambi i casi però i ragazzi hanno sofferto l’eventualità di “tradire” le intenzioni dell’artista e vi hanno rinunciato in attesa, magari, di uno schedario in cui archiviare tali materiali.
I due tappeti di Andrea Lanini, realizzati imitando disegni e geometrie mediorientali attraverso la giustapposizione di immagini in fotocopia tratte da articoli di guerra su quotidiani e settimanali, si accompagnano a una stampa fotografica che ritrae l’artista nell’atto di indossare uno dei tappeti davanti alla sinagoga di Roma. Il forte contenuto politico-religioso dei manufatti, confermato dall’azione dell’autore documentata nell’immagine, ha indotto gli studenti a provare a indossare essi stessi il tappeto in questione, ma con effetti forzati e grossolanamente artefatti. Lasciando all’immagine il compito di documentare la performance di Lanini, si è deciso di esporre l’oggetto tenendo conto della sua natura e stendendolo su una pedana poco più alta del pavimento.

La due giorni di lavori si è conclusa con la richiesta di segnalazioni e documentazioni rivolta a tutti i partecipanti, ma soprattutto con un fitto generarsi di nuove domande e con un moltiplicarsi delle strade da percorrere.
[Davide Ricco]



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