Museo dell'Arte Contemporanea Italiana in Esilio

MUSEO DELL'ARTE CONTEMPORANEA ITALIANA IN ESILIO

Il progetto ideato da Cesare Pietroiusti, in collaborazione con Alessandra Meo, Mattia Pellegrini e Davide Ricco, intende raccogliere su tutto il territorio italiano opere realizzate da personalità singole o collettive che svolgono attività creative sorprendenti, eterodosse, fuori dai circuiti della comunicazione mediatica.
Il Museo non avrà una sede fisica fissa: concepito come entità nomade sarà esiliato presso istituzioni museali e associazioni culturali estere.

giovedì 27 ottobre 2011

con Andrea Lanini - dicembre 2010

La vera motivazione di quello che faccio è che non posso fare a meno di farlo. Naturalmente questo non vuol dire che non abbia senso”.

Esordisce cosi l’artista nel nostro incontro nel suo appartamento romano, dove le sue opere si mimetizzano familiarmente tra gli oggetti della sua vita quotidiana di professore impegnato a sensibilizzare col suo lavoro gli allievi e al contempo di sorprendere poeticamente con le sue azioni inaspettate un mondo distratto e precostituito.

Come una prostituta generosa, disinteressata, a cosce aperte, senza veli, protetta tuttavia da una invisibile torre d’avorio”, cosi come lo descrive Ida Panicelli, Lanini ha sempre lavorato ‘in strada’, fuori da ogni circuito ed è così che nel 1980 si è fatto conoscere “quando posò un cartello stradale all'esterno della Galleria Nazionale d'Arte Moderna a Valle Giulia, durante la mostra Arte e Critica, con l'immagine dell'Angelus di Millet al posto del segnale stradale. Naturalmente fu usato per appoggiarci motorini, preso per un vero cartello stradale...! Sul retro aveva attaccato una lettera indirizzata a me, in cui si proponeva come 'partecipante esterno' alla mostra”.
Con le sue “invasioni urbane” l’artista destabilizza la percezione quotidiana dello spazio e rilegge la realtà in modo diverso, ironico, provocatorio in modo da includere lo spettatore in maniera attiva, portandolo all’analisi della sua particolare visione delle cose in relazione con le immagini e le visioni proposte dalle singole opere.

Fin dall’inizio Lanini ha cercato “di sottrarre all’arte quell’alone di autorità sacrale e convenzionale che rischia di consegnarla per intero a una percezione precotta”, realizzando oggetti quasi invisibili che andava a sistemare di notte per le strade di Roma, gli “piaceva che qualcuno si accorgesse casualmente di loro, senza il bisogno di un comunicato stampa”.
Quello che voleva ottenere era l’effetto di una specie di APPARIZIONE, caratteristica del suo lavoro che avvolgeva l’opera di tutto il mistero e la sorpresa di cui sarebbe stata privata da una cornice precostituita. “Certo nelle apparizioni e nei miracoli che ho preteso di ricreare, c’ è un sacco di religione e di sacralità, il che sembrerebbe contrastare con una maggiore vicinanza dell’arte a una fruizione quotidiana e dialogante”.
L’idea di un’arte senza più “aura” e la PERCEZIONE DISTRATTA che Lanini attribuisce a un “diffuso pecoronismo” induce l’artista a creare dissonanze nella compagine urbana che non stravolgono ma attentano alla percezione superficiale “Mi divertiva il tentativo di insinuarci dei dubbi, di suggerire delle presenze negli occhi e nella mente di un pubblico di passanti”.
Il concetto di SPARIZIONE “dell’opera già ampiamente presente nel panorama contemporaneo e fortemente indirizzata in senso antimercatista e anticapitalista, per non dire del suo carattere metalinguistico e critico intorno a ciò che veramente sia definibile come arte e cosa no, è forse il carattere più decadente di tutta l’operazione. L’idea che un’opera si consumi e muoia, abbandonata nella città, e torni nell’oscurità da cui è stata partorita è una bella metafora dell’esistenza…”.
Un ultimo elemento dell’azione di Lanini, che conferma la personalità singolare e la magia libera di esplicarsi e colpire, destabilizzando spazio e menti, è il voler rimanere ANONIMO per sganciare l’opera da riferimenti biografici e darle connotazioni più universali
Doveva essere rassicurante per il “pubblico” che comunque qualche autore ci fosse e volesse dire qualcosa. Inoltre ne scaturiva la sensazione che fosse stata la città stessa a produrre qualcosa di nuovo e che lo facesse dentro il suo cuore più antico.
In fondo sono tornato al punto di partenza : far sì che il passato non muoia per eccesso di parrucche e di cornici, continuare a raccontarlo perché non abbia fine.
Sì, lo so è impossibile”.
[Alessandra Meo]

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