Museo dell'Arte Contemporanea Italiana in Esilio

MUSEO DELL'ARTE CONTEMPORANEA ITALIANA IN ESILIO

Il progetto ideato da Cesare Pietroiusti, in collaborazione con Alessandra Meo, Mattia Pellegrini e Davide Ricco, intende raccogliere su tutto il territorio italiano opere realizzate da personalità singole o collettive che svolgono attività creative sorprendenti, eterodosse, fuori dai circuiti della comunicazione mediatica.
Il Museo non avrà una sede fisica fissa: concepito come entità nomade sarà esiliato presso istituzioni museali e associazioni culturali estere.

mercoledì 26 febbraio 2014

Giulia Girardello incontra Aldo Piromalli

Venezia, 4 gennaio 2014

Incontro Aldo un tardo pomeriggio di fine novembre, mentre una pioggia leggera illumina di riflessi le strade del centro di Amsterdam.
Dovevamo vederci in realtà ore prima, avevamo una sorta di appuntamento alle due davanti al piccolo albergo dove alloggiavo. A. si è presentato lì troppo presto, ancora la mattina, e poi non trovandomi se n’è andato.
Quando arrivo dall’aeroporto, la signora dell’albergo mi dice: è venuto un uomo per lei, un olandese. E sento il suo sguardo che si sofferma, tra il preoccupato e il severo, per vedere la mia reazione.
Salgo nella mia stanza giusto il tempo per lasciare lo zaino e sono subito fuori, sul marciapiede davanti all’entrata, ad aspettare il ritorno di Aldo. Attendo un’ora e mezza, passeggiando lungo la via e cercando di riconoscerlo tra i passanti. Comincio ormai a credere che abbia cambiato idea, che non voglia incontrarmi – cosa che del resto non mi stupirebbe e che avevo messo in conto ancor prima di partire. Poi il mio telefono suona.
- Giulia, Aldo. Ma non ce sei venuta ad Amsterdam?
- Certo Aldo, sono qui, sono davanti all’albergo!
- Ah, allora aspettami! Mezz’ora, quaranta minuti al massimo, arrivo.
Ci troviamo finalmente quando ormai il cielo comincia a scurire. Mi colpisce il suo sguardo, sereno e aperto come non mi aspettavo. Gli occhi protetti da un paio di grandi occhiali a mascherina trasparenti.
Iniziamo subito a camminare. Aldo parla a ruota libera di tutto, la sua vita passata, il presente, vicende personali ma anche letteratura, economia, arte, religione. E mentre racconta mi porta in giro per la sua città, nei posti che lui frequenta quotidianamente. Entriamo in negozi specializzati in meditazione e religioni orientali e diverse librerie, grandi, disposte su più piani, di cui mi fa visitare le sezioni che dice più interessanti.
Beviamo un tè al McDonald’s, gli dò la penna stilografica che mi aveva chiesto di portargli come regalo. Facciamo poi una sosta anche al supermercato per comprare delle bibite. Camminiamo al buio sotto la pioggia senza ombrello tra la tanta gente che affolla le vie del centro, mentre Aldo mi spiega quanto sia interessante la terminologia tecnica nel campo dell’edilizia e l’andarne a cercare i riferimenti, le origini. L’etimologia delle parole.
Al momento di salutarci, mi chiede dei miei programmi per il giorno seguente. Vorrei andare a vedere la zona dei musei. Sono anni che non ci vado, dice lui, non mi interessano più. E’ meglio che ci vediamo anche domani, però, mi viene a trovare una persona ogni trent’anni! Discutiamo un po’ sull’orario perché lui la mattina deve pregare e fare meditazione ma alla fine riusciamo a trovare un accordo.
La mattina quando esco dall’albergo Aldo già mi sta aspettando. Riprendiamo la nostra passeggiata-chiacchierata come non si fosse mai interrotta. Aldo cammina veloce e parla senza sosta. Arriviamo in questa grande area dove si trovano i musei: Rijksmuseum, Stedelijk Museum e Van Gogh Museum. Edifici enormi, imponenti, curatissimi, che si affacciano su un grande prato centrale. Aldo è titubante, se ci tieni proprio a visitarli… ma a parer mio non ne vale la pena. Sono troppo carichi, le opere sovraesposte, c’è tutto un senso del prestigio, del nome famoso. Le opere di Van Gogh te le vedi meglio a casa in una buona riproduzione a colori.
Ci sediamo su una panchina nel parco, con i musei alle nostre spalle. Aldo mi dice ti mostro il mio libro di preghiere e tira fuori dallo zaino un fascicoletto fotocopiato e ripiegato, avvolto in un tessuto rosso e fucsia. Sento che è un momento importante, un privilegio che mi emoziona. Una volta sono stato al Taj Mahal, dice. Ci sono passato a fianco ma non sono entrato. Poi però una volta a casa mi sono subito messo a studiare libri di geometria.
Penso che sia perfetto essere venuta in questo posto con lui e poi non entrare. Lo spazio del né sì né
no.
C’è bisogno di cose concrete, dei sapori, degli odori. Al mercato mi trovo bene. E così la nostra meta diventa una visita alle bancherelle di un grande mercato fuori dal centro. Ci arriviamo passando attraverso quartieri residenziali semideserti. Non so assolutamente dove ci troviamo ma mi lascio condurre dalla mia eccezionale guida, che continua a parlarmi mescolando fatti storici e racconti personali, cose accadute pochi mesi prima e avvenimenti di altre epoche.
Di ritorno dal mercato passiamo di nuovo davanti ai musei. Sono molto combattuta. Mi piace il fatto di non entrarci, un atto performativo ineccepibile, che mi fa pensare a Dora Garcìa e Francesco Matarrese. D’altra parte ho la sensazione che questo sarebbe un gesto che non mi appartiene veramente, non lo sentirei mio fino in fondo. Mi viene in mente in quel momento che prima di partire avevo stampato alcune pagine di un testo di Paolo Virno che volevo leggere durante il viaggio. La doppia negazione. Ecco, il mio sarà un non non-entrare.
Così io ed Aldo ci separiamo lì, salutandoci come se ci dovessimo rivedere domani o la prossima settimana. Lo guardo attraversare la strada e allontanarsi.
La visita al museo mi riporta alla mia solitudine. Dopo ore e ore dedicate ad ascoltare Aldo e prendere il più possibile di quello che veniva da lui, un po’ di silenzio mi fa bene. La noia e la delusione, invece, sono la dimostrazione che Aldo aveva ragione. Non ne vale la pena, sono altre le cose che ti danno senso.
Del resto sono contenta di esserci andata perché non l’avrei capito senza provarlo direttamente e poi, la cosa più importante, senza quella pausa, non ci sarebbe stata. Lasciato il museo, infatti, faccio una sosta in una piccola piazza e mi accorgo che sulla panchina di fronte a me, a poche decine di metri, sta seduto Aldo. Mi alzo per raggiungerlo. Quando anche lui mi vede, il suo volto si apre in un grande sorriso. Non so se mi stesse aspettando, se immaginava sarei ripassata di lì. Ecco, ora mi vedi come sono di solito, dice lui.
Facciamo ancora due parole e poi ci scambiamo un secondo saluto. Questa volta sono io che mi allontano e lascio Aldo sulla sua panchina, a guardarsi assorto tutta quella vita che gli accade attorno.
Le persone muoiono, quante volte l’ha ripetuto. E allora tra noi calava il silenzio. Forse i nostri discorsi si erano troppo avvicinati e c’era il bisogno di ritrovare una distanza di sicurezza. Noi così estranei e le nostre vite tanto diverse. È stato bello metterle assieme, anche solo per poco.
Addio Aldo, anzi arrivederci.

Giulia Girardello

mercoledì 4 settembre 2013

EXILE al Centro Rupert a Vilnus in Lituania

Il progetto Exile di Dora Garcia si sposta da Tel Aviv al centro Rupert http://www.rupert.lt/en/.
Ricominceremo così ad attuare la pratica della "comunicazione in assenza" di Aldo Piromalli inviando fino a dicembre lettere che affrontano il tema dell'esilio.

venerdì 29 marzo 2013

Workshop EXILE Museo in Esilio: Riflessioni di Andrea Lanini

"Un introduzione sintetica ai punti successivi ....)

Se la realtà non esistesse e vi fossero soltanto delle interpretazioni al posto delle cose, come molti si sono affannati a sostenere in epoca recente, non si capirebbe molto l’affanno degli uomini.
E’ un affanno esistenziale che potremmo descrivere per eccesso o per difetto nella lotta con le cose del mondo poiché alcuni si appassionano così fortemente e dolorosamente ad esse che cercano in ogni modo di rivoluzionarle, fino al punto che esse si rivoltano a loro volta contro i loro assalitori. Mentre altri sono così oppressi dall’incombere del mondo su di loro, che fanno di tutto, sia pure tristemente, per restarne distanti.
Se a questo punto volessimo riferire a questo doppio atteggiamento il tema dell’esilio, potremmo dire che i primi sono colpiti dall’esilio in quanto condanna, la quale viene loro comminata dalle istituzioni per l’eccesso della loro ribellione, mentre i secondi si impongono da soli il loro personale esilio, piuttosto come una scelta, senza la quale le cose del mondo li travolgerebbero senza rimedio.
Tutto ciò non accadrebbe se non si fosse in qualche modo sottoposti a un “bando” e il bando comporta come conseguenza l’essere abbandonati. Sebbene l’esiliato si senta in qualche modo riscattato dalla sua stessa sofferenza egli non può del tutto nascondersi l’episodio dell’abbandono e in lontananza la colpa che lo ha determinato.

In ogni caso l’esilio comporta un distacco e un guardare alle cose da una distanza che implica un processo tutto mentale di ricongiungimento. E’ questa la struttura profonda che sostiene la “fuga” plotiniana di “uno solo verso se stesso”. E’ questa la procedura per la quale la nostalgia e il richiamo danno alle parole un valore tutto spirituale e incoraggiano l’ascesa verso il “nous”. Qui, per l’artista esiliato si colloca la scelta del verbo piuttosto che dell’icona e si rende prevalente e talvolta inevitabile il ricorso alla parola e al messaggio parlato e scritto.
Ciò che davvero colpisce è il fatto che la parola lanciata nell’esilio dà luogo ad una lingua e insieme ad una narrazione. Forse l’esiliato ritiene, nella babele che attraversa nel suo viaggio o semplicemente nella sua condizione di straniero, di dover trovare una lingua buona per tutti o magari la lingua perduta dei padri dai quali tutti discendiamo. Colpisce che la cattività babilonese abbia in qualche modo prodotto l’Antico Testamento e che l’esilio di Dante sia stato il nido della lingua italiana. Colpisce anche che la nuova lingua abbia creato con la sua stessa apparizione dei nuovi mondi.


( I punti successivi, magari un po’ ripetitivi.....)

L’esilio come pena
Se penso all’esilio, immagino che una qualche autorità possa averlo imposto a qualcuno come una condanna. Si può discutere se esso sia veramente una condanna o piuttosto la possibile via d’uscita da una pena, in una sorta di regione separata che per essere geograficamente altrove è anche una terra nella quale vige la sospensione.

L’autoesilio come tipico dell’artista
Ma potrei pensare all’esilio anche come una scelta, una via d’uscita che non si fonda per nulla su una sanzione istituzionale, ma che nasce dalle esigenze profonde dell’anima, tale che è piuttosto il soggetto che riconosce in un qualche contesto complesso e articolato le ragioni di una propria inadeguatezza al luogo, e sanziona da sé nei confronti di se stesso una sorta di pena del girovagare altrove. Naturalmente mi riconosco in pieno in questa seconda accezione se non altro perché non attribuisco a nessuno il diritto ma neppure la colpa di avermi esiliato in qualche modo dentro me stesso. Non me la sento di attribuire alla realtà la responsabilità di essere com’è. Credo che gran parte dei nostri problemi oggi dipenda dal fatto che ci figuriamo la realtà come vorremmo che fosse e non verifichiamo mai la nostra azione a partire dalle cose concrete che la rendono possibile. E d’altra parte la realtà com’è non è certo immune da difetti per cui è solo l’esiliato ad essere in grado, per certe sue ragioni e visioni, ad indicarli con più disperata precisione. L’esilio dell’artista è, in un certo modo, la sua natura ed è grazie a questa sua condanna naturale di esiliato che egli può parlare, secondo il modo che gli è proprio, della realtà.

Il mio è un esilio nel passato
Ma se potessimo parlare di azione saremmo già un pezzo avanti. Qui siamo nel terreno dell’arte e quindi per definizione nell’inazione. Personalmente il tipo di esilio al quale aderisco, senza peraltro attribuirne la responsabilità se non a me stesso, credo sia soprattutto un esilio nel passato. Un esilio nel passato e nel continuamente ritrovato. Si tratta di una permanenza straniante così forte che anche l’apparire del nuovo, che pure avviene, acquista quasi il senso di una predestinazione, di una meraviglia predisposta, da tempo, da qualcuno. Il nuovo che appare, infatti, non è incomprensibile, ma svela il senso e quel senso appartiene fatalmente ad un qualcosa che c’era già e che, semplicemente, non si era riconosciuto. L’esilio è il rito
rno sempre negli stessi luoghi, che sono i luoghi del radicamento e dello sradicamento : radicamento del nascere e del prendere vita e sradicamento di un abbandono che non si riesce ad accettare per cui si è esiliati nel familiare e nel conosciuto mentre ci si dovrebbe abituare al disconoscersi. Il fatto stesso di mimetizzarsi sempre negli stessi luoghi e di cercare l’invisibilità segna il desiderio di sprofondare nell’esistente e di tornare ad esso, cadendo nel passato.
Si può d’altra parte ipotizzare che l’esiliato inclini quasi naturalmente al passato per via della sua condizione di esclusione. Egli ripensa, se non altro con la nostalgia propria del viaggio omerico, alla terra del padre ed è l’assenza della figura paterna, come conferma Joyce-Dedalus, a determinare una ricerca continua nel corpo della storia.

Il girovagare dell’esiliato
L’esiliato è un girovago. Quando si trova in un isola, misura incessantemente il contorno della costa, alla ricerca di una fuga che non è possibile. Nel girovagare egli sperimenta l’impossibilità del ritorno come in una sorta di coazione a ripetere. Questo è il senso di colui che meglio di ogni altro ha teorizzato, con la figura del Flaneur, lo straniero in patria, Baudelaire. Da lui deriva dunque l’esiliato artista e poeta che cerca il punto di passaggio dalla sua condizione di albatros a quella della appartenenza alla società : Dedalus.
L’esiliato nel passato torna continuamente agli stessi luoghi che però non sono più gli stessi per cui l’esilio si compie in lui come disagio del presente. L’origine di questo disagio è però anche in quel passato che cerca di far rivivere poiché probabilmente già in quella origine c’era una scissione, una difficoltà a vivere la vita nel suo procedere, una difficoltà a stabilire una appartenenza al mondo che rassicurasse sulla continuità del tempo e scacciasse dalla mente la paura della perdita. Quando poi l’esilio viene di fatto praticato in terra straniera, il girovagare è ricerca continua della patria e ricerca di posizioni dalle quali l’eco della propria terra giunga in modo più struggente e in modo altrettanto struggente possa alzarsi il richiamo dell’esule verso quella terra. Dante e Joyce vagano e vagano e il loro stesso racconto è in forma di viaggio, la loro opera ha la struttura di un viaggio narrato e il loro problema centrale, fatalmente, è quello della lingua.

L’esiliato dà luogo ad una lingua.
Separato dalla sua terra d’origine l’esiliato si avventura nei territori delle lingue sconosciute. Nell’accoglierle una dopo l’altra ed esserne accolto, cerca riparo dalla estraneità della sua stessa lingua e va alla ricerca di una sorta di linguaggio comune del mondo. L’esiliato ha per questo una vocazione babelica e al tempo stesso non può non muoversi, sia pure confusamente, alla ricerca di una sintesi. Ne è una lampante riprova la ricerca linguistica joyciana, nascente nel corpo stesso delle letterature e delle lingue visitate dallo scrittore (insegnante di letteratura in Francia e di Inglese (?) in italia) intento a mescolare idiomi diversi con l’aiuto della musicalità irlandese ma sforzandosi di sfuggire al dominio della sua propria lingua e cultura. Altra riprova è in Dante, fuggiasco ed esiliato presso le corti dei signori ma preso dal suo sogno linguistico, di un passaggio storico dalla tradizione latina all’avvento storico di un volgare che dal siciliano passa al toscano e alla sintesi di tutti i volgari italiani. E’ poi evidente il frequente ricorso dell’esiliato alla lingua scritta come strumento principe della sua comunicazione ed espressione : l’esigenza di testimonianza, implicita nello sradicamento dell’esiliato, lo induce ad impiegare la parola piuttosto che l’immagine, la lettera, in quanto tradizione e testamento, al posto del dipinto e della figura.
Nel testo in questione, Mallarmè riparte naturalmente da Baudelaire, suo punto di riferimento fin dalla giovinezza, e ne coglie la lezione centrale dell’emarginazione dell’artista nella società, del suo radicale sradicamento. Nel citare Mallarmè come poetico esegeta di Amleto, Joyce cerca una saldatura, nel famoso capitolo della Biblioteca, tra il non eroico e inadeguato Stephen e tutta la sequenza dei poeti maledetti e inadeguati che Mallarmè ha brillantemente teorizzato. E’ di tutta evidenza che la vera posta in gioco di questa operazione è la lingua e più propriamente la lingua della letteratura e dell’arte. Tutto questo ci porta a riconoscere nell’esilio non solo il nido fertile di una lingua che travalichi i confini che l’esiliato ha dovuto varcare per necessità, ma di una lingua totalmente nuova che metta un segno nella storia come sconvolgimento di tutte le lingue precedenti.
Su questo ideale terreno si incontrano Mallarmè, francese insegnante a Londra e Joyce, irlandese insegnante in Francia e in Italia, e trovano un accordo nella ricerca di una lingua poetica che inventi un rapporto inedito tra musica e parola, tra parola e spazio.

L’esiliato dà luogo ad un mondo.
Privato della patria, l’esiliato tende a ricostruire un mondo, Ciò che egli immagina e costruisce non è una sola cosa o poche cose sparse e disseminate ma un mondo intessuto di relazioni e rimandi che lentamente si annodano e si sviluppano fino a formare una nuova patria, mentale e ideale. Luogo fantastico e utopistico, questa patria ha un valore escatologico perché in essa si risolve e si dissolve, con una liberazione, quel volto sinistro del mondo reale che ha condannato l’esule all’estraneità. Parimenti esuli e vaganti, sognanti e squattrinati presso signori damascati e pensioni di terz’ordine, Dante e Joyce, costruiscono pazientemente la tela dei loro mondi, la Commedia e l’Ulisse, che sono ambedue viaggi e non viaggi : l’uno, in quanto
girovagare nello stesso luogo e l’altro come ascesa in un luogo dello spirito. In essi, comunque, i poeti cercano una via d’uscita, e non solo per se stessi, ma anche e soprattutto per la loro terra di fronte alla storia. Ma c’è un terzo mondo che scaturisce, secondo molti studiosi, proprio da un esilio ed è la Bibbia, partorita molto probabilmente proprio dalla cattività babilonese. Dante ne è il mimetico continuatore, nella sua geniale convinzione di scrivere un terzo vangelo, almeno secondo Burke. E Joyce, pur modellandosi geometricamente sulla struttura e sui numeri dell’epica omerica classica, non trascura di trovare il suo protagonista in un ebreo. Il valore di annuncio e di liberazione che si annida nella Bibbia ha un riscontro preciso nei
suoi profeti i quali nella gran parte nascono dalla sofferenza della cattività babilonese.

Il nuovo mondo ideale dell’esiliato è rigoroso.
Se è vero, che è dall’esilio babilonese che scaturisce la Bibbia, occorre riconoscere che il libro dei libri corrisponde ad una rigorosa ristrutturazione della cultura religiosa ebraica antica. E’ con la Bibbia infatti che la religione ebraica si rinsalda nel suo estremo monoteismo contro le più vaghe credenze dei cananei e al tempo stesso il monarca deve lasciare ai sacerdoti la gestione delle cose sacre, mentre il popolo ebraico, consolidando la sua identità, si forma come popolo chiuso. Sembra quasi che la mutevolezza di condizioni e spesso lo stato di minorità al quale l’esiliato è costretto, lo induca ad immaginare un mondo singolarmente forte e resistente nelle sue strutture.

martedì 26 marzo 2013

Se io sono la Lingua. Aldo Piromalli e la scrittura dell’esilio presentazione del libro e workshop con il Museo dell’arte contemporanea italiana in esilio mercoledì 3 aprile 2013 ore 18.00 - Sale Docks, Venezia




ll Museo dell'Arte Contemporanea Italiana in Esilio è un progetto di Cesare Pietroiusti in collaborazione con Mattia Pellegrini, Davide Ricco e Alessandra Meo. Dal 2010 sta sviluppando una ricerca allo scopo di individuare personalità singole o collettive che svolgono attività creative sorprendenti, eterodosse, fuori dai circuiti della comunicazione mediatica.
Nel 2011 il Museo in Esilio è stato ospite al Padiglione Spagnolo per la 54ma Biennale di Venezia, all’interno del progetto “The Inadequate” di Dora Garcia. All’interno del padiglione il Museo in Esilio ha portato la “comunicazione in assenza” di Aldo Piromalli che, invitato a partecipare da Giulia Girardello, ha deciso di spedire per tutta la durata della Biennale le sue lettere al Padiglione.

A seguito di questa collaborazione è nato un libro: Se io sono la Lingua. Aldo Piromalli e la scrittura dell’esilio con un testo di Dora Garcia, a cura di Mattia Pellegrini e Giulia Girardello, edito da Sensibili alle Foglie.
Il testo, che racconta attraverso i suoi scritti la figura di Aldo Piromalli e la sua radicalità artistica ed esistenziale, sarà presentato grazie all’ospitalità di S.a.L.E. Docks dagli autori, dall’editore Nicola Valentino e dall’artista Cesare Pietroiusti.


EXILE è un progetto di Dora Garcia attualmente in fase di realizzazione per la mostra Host and Guest curata da Steven Henry Madoff per il Museum of Art di Tel Aviv. EXILE rende omaggio alla figura di Aldo Piromalli, artista in esilio esistenziale. Dora Garcia ha riconosciuto in Aldo Piromalli una figura emblematica dell’idea di inadeguatezza e di esilio e a lui ha voluto ispirarsi per la mostra di Tel Aviv.
Il progetto EXILE vuole abbracciare tutti i diversi significati di questa parola complessa. Primo, la condizione o un periodo di assenza forzata o volontaria dal proprio paese o dalla propria casa. Secondo, una persona che è in esilio, letteralmente o metaforicamente, geograficamente o spiritualmente. Terzo, vuole abbracciare i suoi sinonimi: bando, deportazione, spostamento, dislocazione, espulsione, retrocessione. Questi sinonimi acquisiscono un significato più severo quando il progetto è situato dove sarà esposto: Tel Aviv e Israele. Ma il progetto non deve essere ridotto alla prima pagina politica, per quanto urgenti possano essere questi temi. L'esilio è anche una necessità, uno stato quasi inevitabile e obbligatorio per un artista in relazione alla storia e società.
Il progetto è formalizzato mediante lettere inviate a Tel Aviv Museum of Art dall’esilio di sei individui e un museo: Michal Bar Or, Museo in Esilio, Giulia Girardello, Alma Itzhaky, Luciana Kaplun, Dora Garcia e Aldo Piromalli.

Nel workshop proposto a S.a.L.E. Docks dal Museo dell’arte contemporanea italiana in esilio si lavorerà alla redazione-creazione di lettere sul tema dell’esilio. Tutti i materiali prodotti saranno poi inviati al Museo di Tel Aviv, secondo le modalità stabilite dall’artista, come contributo al progetto EXILE.
Chi vuole partecipare è invitato a presentarsi al laboratorio già con materiale (foto, lettere, manoscritti, articoli e altro materiale che può essere spedito tramite posta ordinaria) che rifletta per loro il concetto di Esilio.

A questo scopo è attivata fin d’ora una mailing list per cominciare in modo libero a riflettere e scambiarsi idee sul tema. L’invito a prendervi parte è aperto a tutti, per essere inseriti nella discussione è sufficiente inviare una email con oggetto “EXILE VENEZIA” a pellegrinimattia@ymail.com.



Alla presentazione al S.a.L.E. sarà disponibile una selezione delle pubblicazioni di Sensibili alle Foglie. Un'ottima occasione per conoscere un'editoria davvero speciale!
Sensibili alle foglie è una cooperativa di produzione e lavoro ma è anzitutto un modo di guardare, un modo di cercare, di porre domande sui vissuti delle esperienze estreme, sui dispositivi totalizzanti che sono all’opera nei gruppi, nelle associazioni e nelle istituzioni, sulle risposte di adattamento e sulle risorse creative delle persone che le attraversano.

sabato 16 marzo 2013

Workshop EXILE




Nel workshop si lavorerà alla redazione-creazione di lettere sul tema dell’esilio per la partecipazione del Museo dell’arte contemporanea italiana in esilio al nuovo progetto di Dora Garcia EXILE (all’interno della mostra Host And Guest curata da Steven Henry Madoff presso il Museum of art di Tel Aviv che sarà presentato nella primavera del 2013).

Il Museo in Esilio è stato ospite al Padiglione Spagnolo per la 54ma Biennale di Venezia, all’interno del progetto “The Inadequate” di Dora Garcia. All’interno del padiglione il Museo in Esilio ha portato la “comunicazione in assenza” di Aldo Piromalli che, invitato a partecipare da Giulia Girardello, ha deciso di spedire, per tutta la durata della Biennale, le sue lettere.

L’artista spagnola ha riconosciuto in Aldo Piromalli una figura emblematica dell’idea di inadeguatezza e di esilio e a lui ha voluto ispirarsi per la mostra di Tel Aviv.

Durante questa nuova collaborazione è anche nato un libro: Se io sono la Lingua. Aldo Piromalli e la scrittura dell’esilio, con un testo di Dora Garcia, a cura di Mattia Pellegrini e Giulia Girardello edito da Sensibili alle Foglie, che è parte integrante del progetto e che sarà utilizzato per comprendere, attraverso i suoi scritti, Aldo Piromalli e la sua radicalità artistica ed esistenziale.



I partecipanti sono invitati a presentarsi al laboratorio già con materiale (foto, lettere, manoscritti, articoli e altro materiale che può essere spedito tramite posta ordinaria) che rifletta per loro il concetto di Esilio.








EXILE - progetto di Dora Garcia in fase di realizzazione per la mostra Host and Guest curata da Steven Henry Madoff per il Museum of Art di Tel Aviv - vuole abbracciare tutti i diversi significati di questa parola complessa. Primo, la condizione o un periodo di assenza forzata o volontaria dal proprio paese o dalla propria casa. Secondo, una persona che è in esilio, letteralmente o metaforicamente, geograficamente o spiritualmente. Terzo, vuole abbracciare i suoi sinonimi: bando, deportazione, spostamento, dislocazione, espulsione, retrocessione.
Questi sinonimi acquisiscono un significato più severo quando il progetto è situato dove sarà esposto: Tel Aviv e Israele. Ma il progetto non deve essere ridotto alla prima pagina politica, per quanto urgenti possano essere questi temi. L'esilio è anche una necessità, uno stato quasi inevitabile e obbligatorio per un artista in relazione alla storia e società.
EXILE rende omaggio alla figura di Aldo Piromalli, artista in esilio esistenziale.

Il progetto è formalizzato mediante lettere inviate a Tel Aviv Museum of Art dall’esilio di sei individui e un museo: Michal Bar Or, Museo in Esilio, Giulia Girardello, Alma Itzhaky, Luciana Kaplun, Dora Garcia e Aldo Piromalli.



Il Museo dell'Arte Contemporanea Italiana in Esilio dal 2010 svolge una ricerca allo scopo di individuare personalità singole o collettive che svolgono attività creative sorprendenti, eterodosse, fuori dai circuiti della comunicazione mediatica. La ricerca è svolta sia in istituzioni psichiatriche, penitenziarie e riabilitative in genere, che nelle aree di disagio e di marginalità sociale, ma dedica considerazione anche a personaggi isolati, eccentrici, border-line, che si dedicano ad attività bizzarre, indefinite che magari sono noti a piccole comunità (un villaggio, un quartiere, un gruppo sociale ecc.).
Sono inoltre cercati con particolare interesse artisti che, o per propria scelta o perché ne sono stati espulsi, operano fuori dai circuiti del sistema dell’arte contemporanea italiana. Sono esplorate anche le aree della ricerca scientifica o para-scientifica, dell’attivismo politico o della pratica simil-religiosa, specie quelle che si esprimono in forme non omologabili né definibili all'interno di paradigmi disciplinari o comunitari prefissati.

Il workshop si svolgerà in collaborazione con il progetto artistico Le Musée en valise di Silvia Pujia & Maria Teresa Zingarello, all'interno della mostra “VOCI d'arte contemporanea a Roma” presso il MLAC.

Le Musée en valise è il naturale proseguimento di GREVE en valise (2012), un progetto sviluppato durante una residenza d’artista presso il centro d’arte La Chambre Blanche, Canada e, come quest’ultimo, prende spunto da una riflessione su La boîte-en-valise di Duchamp e dalla sua idea di un museo fai-da-te. Le Musée en valise, nasce dalla volontà di analizzare l’orientamento artistico e culturale adottato dai luoghi non deputati e indipendenti che si pongono al di fuori del sistema ufficiale dell’arte, inclusi i luoghi non necessariamente legati a una sede fisica. All’interno del MLAC la struttura cubica, smontabile e trasportabile, fungerà da dispositivo museale aperto e nomade, un «museo portatile o anti-museo… una provocazione al museo tradizionale» (Duchamp) in grado di generare e dispiegare momenti di riflessione e dibattito in situ e di dar luogo a una vera e propria piattaforma relazionale tra i luoghi indipendenti coinvolti nell’iter progettuale. È con tal proposito che Le Musée en valise si propone di ospitare il Museo dell'Arte Contemporanea Italiana in Esilio ed il workshop per la partecipazione al progetto EXILE di Dora Garcìa.

giovedì 14 marzo 2013

SE IO SONO LA LINGUA. Aldo Piromalli e la scrittura dell’esilio a cura di Giulia Girardello e Mattia Pellegrini con un’introduzione di Dora Garcia


Collana Scrizioni Ir-ritate
Sensibili alle foglie
Acquisto 14€.
Presso nerodiseppia (Venezia) o direttamente dagli autori.
a Roma, o per altre città, direttamente da Mattia Pellegrini. (pellegrinimattia@ymail.com)
È un linguaggio suggestivo e affascinante quello con cui Aldo Piromalli, artista e poeta nato a Roma nel 1946, racconta di sé inviando in tutto il mondo le sue lettere da Amsterdam, città che lo ospita fin dai primi anni settanta.
Questo piccolo volume, che raccoglie una selezione dei suoi scritti e disegni più recenti, nasce da una positiva serie di coincidenze e di relazioni. Nel 2010 il lavoro di Piromalli è entrato a far parte del progetto di Cesare Pietroiusti “Museo dell’arte contemporanea italiana in esilio”, su segnalazione di Giulia Girardello che era in contatto con l’artista da alcuni anni, prima attraverso il Museo Casabianca di Malo, poi direttamente tramite un’intensa corrispondenza personale. L’anno seguente, Museo in Esilio è stato ospite al Pa- diglione Spagnolo per la 54ma Biennale di Venezia, all’interno del progetto “The Inadequate” di Dora Garcia. L’artista ha riconosciuto in Aldo Piromalli una figura emblematica dell’idea di inadeguatezza e di esilio e a lui ha voluto ispirarsi per il progetto “Exile”, che sarà presentato nella primavera del 2013 presso il Museo di Tel Aviv.
GIULIA GIRARDELLO, scrittrice e curatrice del progetto Nerodiseppia, negozio collettivo di arte, design e musica che promuove e sostiene le produzioni indipendenti a Venezia.
MATTIA PELLEGRINI, artista e curatore indipendente, collabora al Museo dell’arte contemporanea italiana in esilio e al MAAM (museo dell’altro e dell’altrove di Metropoliz_città meticcia, Roma).
ISBN 978-88-89883-72-3 Euro 14,00
p. 120 formato 14 x 21 cm
INDICE
ALDO PIROMALLI, ESILIO DI DORA GARCIA
INTRODUZIONE
CAPITOLO 1 FRAMMENTI AUTOBIOGRAFICI
CAPITOLO 2 L’ATTIVITÀ POETICA
CAPITOLO 3 DELL’INCONTRARSI
CAPITOLO 4 DEL PUBBLICARE
TAVOLE DI ALDO PIROMALLI
RINGRAZIAMENTI

(per info scrivere a museoinesilio@gmail.com)

VOCI DI ARTE CONTEMPORANEA A ROMA



Andrea Abbatangelo, Nobushige Akiyama, Fausto delle Chiaie, Suada Demirovic, Ettore Favini, 
Yasmin Fedda, Francesca Fini, Andrea Lanini, Paola Mineo, 
Silvia Pujia & Maria Teresa Zingarello, Mariarosaria Stigliano, Meri Tancredi, Giovanni Oscar Urso 

A cura di 
Rita Pecorella, Silvia Pujia, Marco Testa, Donatella Zanchi e Maria Teresa Zingarello 
Materiali digitali a cura di Angela Di Iorio 

Inaugurazione: giovedì 14 marzo 2013 ore 18.00 
Dal 14 marzo al 28 marzo 2013 
Giovedì 14 marzo 2013 ore 18.00, il MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sapienza Università 
di Roma, inaugura la mostra collettiva VOCI di arte contemporanea a Roma, a cura di Rita Pecorella, Silvia 
Pujia, Marco Testa, Donatella Zanchi e Maria Teresa Zingarello, tappa conclusiva del Master di II livello in Curatore d’Arte contemporanea, a.a. 2011-2012. 

La mostra intende presentare la molteplicità di offerta dell’arte contemporanea a Roma nei diversi spazi 
espositivi: accademie straniere, fondazioni, gallerie private e spazi indipendenti. Tramite interviste rilasciate 
da alcuni protagonisti del sistema artistico romano, sono emersi ruoli e missioni diverse che, intrecciandosi, 
creano una rete dinamica e fluttuante che esce da rigidi schematismi. I curatori del progetto propongono 
quindi opere di artisti che lavorano in rapporto a questi spazi e conducono la propria ricerca utilizzando 
diversi linguaggi espressivi: disegno, pittura, scultura, fotografia, video, installazione e performance. La 
mostra diviene dunque una manifestazione concreta per offrire, da punti di vista diversi e senza pretesa di 
esaustività, una panoramica di quanto il sistema arte offre nella Capitale. 
Dopo aver indagato la realtà degli spazi indipendenti a Roma, Silvia Pujia & Maria Teresa Zingarello, in 
collaborazione con il Museo dell’Arte Contemporanea Italiana in Esilio – nato da un’idea di Cesare Pietroiusti con Alessandra Meo, Mattia Pellegrini e Davide Ricco – hanno invitato l'artista Andrea Lanini e il Museo 
all'Aria Aperta di Fausto delle Chiaie a interagire con la loro opera Le Musée en valise, struttura cubica 
concepita come un dispositivo museale aperto e nomade, realizzata nel corso di una residenza in Canada. 
Donatella Zanchi, indirizzandosi all’attività istituzionale delle accademie straniere, presenta le opere di due 
artiste attualmente in residenza a Roma, Yasmin Fedda per The British School at Rome e Suada Demirovic 
per l’Accademia di Danimarca, affiancate da un’installazione site specific dell’artista giapponese Nobushige 
Akiyama, realizzata con la collaborazione di Emanuele Rinaldo Meschini, e da un contributo documentario 
dell’Istituto Svizzero di Roma. 
Rita Pecorella, dopo una ricerca sulle Fondazioni a Roma, propone sulla facciata del Rettorato un poster di 
Ettore Favini facente parte del progetto "Postcard From” della Fondazione Pastificio Cerere, che, utilizzando il 
sistema delle affissioni pubbliche, si propone di portare l’arte dove non ci si aspetta di trovarla. 
Guardando infine alle gallerie private, Marco Testa ha coinvolto sei artisti: Andrea Abbatangelo, Francesca 
Fini, Paola Mineo, Mariarosaria Stigliano, Meri Tancredi e Giovanni Oscar Urso i quali, con diversi linguaggi 
artistici, dialogano con l’opera para-duchampiana di Luca Maria Patella The Wrong & the Right Beds in 
esposizione al MLAC: la realtà può essere deformata ingannando l’occhio, illudendo la mente. 

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